Parlare di generazioni nel lavoro, oggi, è diventato quasi una moda: se ne discute a convegni, nei corridoi aziendali, nei media. Ma troppo spesso questo discorso resta intrappolato in una narrativa povera e riduttiva, che banalizza un tema cruciale per l’evoluzione, e la crescita a più livelli, della società e delle persone, sia come cittadini che come singoli e lavoratori.
Da una parte c’è la retorica dello scontro: “I giovani sono fragili”, “I senior resistono al cambiamento”.
Dall’altra la diffusione dei cliché: “I Millennials vogliono solo avere tempo libero con lo smart Working”, “I Boomers lavorano senza sosta”, gli “Z Gen non sono affidabili”.
Il risultato?
- A livello sociale le polarizzazioni generazionali alimentano rabbia sociale e disuguaglianze sempre più evidenti.
- Nelle aziende, la diversità generazionale viene trattata come un problema tattico di gestione quotidiana invece che come una leva strategica per competere e innovare.
I team HR, quando riescono – sottoposti come sono a vincoli di mandato e di budget – provano a costruire, quasi sempre con iniziative spot, mini eventi di divulgazione e sensibilizzazione, ma non bastano.
La diversità generazionale è una questione culturale e sociale, di portata ben più ampia, che riguarda lo sviluppo stesso della società, tempi e format ridotti non possono costituire una solida possibilità di Change Management o di People Strategy, figuriamoci risolvere problemi di relazione atavici.
Quando un giovane legge possibilità, un senior porta profondità. Dove un senior vede un rischio, un giovane individua soluzioni alternative.
E’, anche, in questa diversità di linguaggio, visioni e comportamenti che nascono nuove sintesi della realtà, fioriscono possibilità e alternative per il futuro.
Lo spreco non sta nel conflitto in sé, ma nell’assenza di un metodo che sappia trasformare le differenze in visioni condivise. Le generazioni, quando dialogano, o persino quando si scontrano, creano nuova energia, a patto di saperla vedere e gestire.
Ecco perché la diversità generazionale non è una moda né un’etichetta sociologica da appiccicare, ai lavoratori come alle persone. È uno strumento di lettura che ci permette di capire meglio il presente — valori, priorità, fragilità e forze che attraversano la società — e, soprattutto, di costruire il futuro.
In un’epoca di transizioni massive e radicali (tecnologiche, demografiche, climatiche), che portano a nuove destabilizzazioni geopolitiche in cui anche la demografia generazionale gioca un ruolo, ignorare questa lente significa rinunciare a comprendere in profondità i comportamenti delle persone, le loro scelte e i loro bisogni.
Significa condannare le società e le organizzazioni a reagire in ritardo.
Al contrario, riconoscere e valorizzare la convivenza generazionale permette di:
- sviluppare modelli di leadership a più strati, più inclusivi e resilienti,
- disegnare politiche di welfare e benessere al passo coi tempi e aderenti ai bisogni delle età e fasi di vita,
- stimolare innovazione attraverso prospettive plurali,
- rafforzare la cultura organizzativa come patrimonio condiviso e in evoluzione,
- preparare il terreno per futuri più sostenibili.
In altre parole, la diversità generazionale è una competenza strategica, un fattore di competitività e sostenibilità nel lungo periodo.
Quando il fattore generazionale diventerà una delle leve del processo decisionale, le cose cambieranno per tutti e tutte:
bisogna imparare a prendere decisioni politiche, aziendali e di mercato con l’ottica generazionale per assumere, tutti, e tutte, la responsabilità del futuro.
I. Pierantoni, settembre 2025
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